Con una magia contenuta nella legge di stabilità del 2020 (L.178/2020, art.1,nei commi 1001, 1002 e 1003) è stato previsto che i servizi di sorveglianza delle sedi dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, finora ottimamente assicurati da guardie giurate – in quanto compiti di sicurezza complementare – sono svolti da militari del Corpo della Guardia di Finanza. È stata cioè creata una nuova articolazione del Corpo, specializzata in compiti più “basici” di quelli solitamente assicurati dalle Fiamme Gialle. Un’involuzione in piena regola con un considerevole aggravio di spesa a danno dei contribuenti.
È evidente, infatti, che i costi di retribuzione, formazione, aggiornamento di un appartenente alla Guardia di Finanza sono molto superiori a quelli di una guardia giurata; peraltro ricompresi nel costo generale dell’appalto unitamente a tutti quelli necessari per la produzione del servizio. E non rileva che la legge 178 abbia previsto che i costi del servizio – consistenti nel trattamento economico accessorio del personale, oneri sociali, quelli per il trasferimento, nonché le spese di funzionamento, logistiche e strumentali necessarie allo svolgimento dei servizi – siano posti a carico dell’Istituto Poligrafico (nel limite di 5 milioni di euro annui), poiché sullo Stato (cioè sui contribuenti) graveranno gli stipendi lordi dei nuovi duecento finanzierie tutte le altre spese correlate al loro servizio.
Sul punto, una prima considerazione da muovere è che i due appalti ad oggi assicurati dalle guardie giurate valevano circa 3 milioni di euro l’anno, mentre tra retribuzioni degli appartenenti alla Guardia di Finanza, indennità connesse alla pubblica sicurezza (capitoli di spesa dei ministeri dell’Economia e dell’Interno), i cinque milioni del Poligrafico, servizi di portierato comunque da esternalizzare, costi per le procedure di sostegno delle guardie giurate che perderanno il lavoro, si può stimare una spesa di 18 milioni annui, in totale contrasto con lo spirito del “Piano di ripresa e resilienza” a cui sta lavorando il Governo.
Una seconda considerazione riguarda la circostanza che da più di dieci anni (anzi la prima norma, quella sugli aeroporti, risale al lontano 1992) si parla della sicurezza complementare come dello strumento per consentire di restituire al territorio, alle specialità (ad esempio alla lotta all’evasione fiscale o alle verifiche sui percettori del reddito di cittadinanza), al contrasto al crimine organizzato, gli specialisti delle Forze di polizia, lasciando alcuni compiti alle professionali mani degli operatori della sicurezza privata, ed ecco che un’emanazione dello Stato sovverte il sistema mortificando la professionalità dei militari delle Fiamme Gialle, aumentando i costi a carico della collettività e gettando nell’angoscia più totale i 170 operatori della sicurezza privata (e le loro famiglie) che finora hanno svolto il servizio.
Una scelta illogica, incomprensibile, che fa fare un salto all’indietro di vent’anni alla sicurezza privata ed al faticoso lavoro che amministrazione dell’interno, parti sociali, aziende e lavoratori hanno fatto e stanno ancora facendo per traghettare un settore disciplinato da una normativa del 1931 nel presente e, soprattutto, proiettarlo nel futuro.